Per informazioni e appuntamenti, chiama il 329 2365309

Layout del blog

TFA Specializzazione sostegno

Consiglio di Stato censura mancata predisposizione graduatoria nazionale

Importante soluzione innovativa adottata in controtendenza rispetto ai precedenti orientamenti pronunciatisi in materia.
Il Consiglio di Stato, con Ordinanza n. 1292/2018 pubblicata in data 21/03/2018, ha accolto l’istanza cautelare proposta unitamente al ricorso patrocinato dagli Avv.ti Egidio Lizza, Luigi Serino e Marco Lo Giudice, in favore dei ricorrenti che avevano lamentato il mancato accesso al TFA Sostegno per la scuola primaria presso l’Università di Palermo, sebbene ritenuti idonei, a causa della mancata predisposizione, da parte del MIUR, di una graduatoria unica nazionale.
Il supremo organo della giustizia amministrativa ha infatti rilevato quanto segue:

“considerato che l’omessa predisposizione di una graduatoria unica nazionale pare, allo stato, collidere con i principi di buon andamento e di parità di trattamento fra quanti ambiscono all’insegnamento di sostegno senza che abbia rilievo preclusivo il numero dei posti disponibili presso ciascun singolo ateneo; ritenuto che il d.m. 30 settembre 2011, recante “Criteri e modalità per lo svolgimento dei corsi di formazione per il conseguimento della specializzazione per le attività di sostegno”, richiama il d.m. 10 settembre 2010 n. 249 limitatamente alla programmazione regionale degli organici del personale docente e del fabbisogno specifico di personale specializzato per il sostegno didattico, senza affatto prescrivere una riserva di posti ai corsi su base regionale presso il singolo ateneo; considerato infine il grave pregiudizio conseguente all’esecuzione degli atti impugnati per i ricorrenti, i quali si vedono precludere l’accesso al corso propedeutico per l’esercizio dell’attività professionale. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta Accoglie l’appello (Ricorso numero: 1104/2018) e, per l’effetto, in riforma dell’ordinanza impugnata, accoglie l’istanza cautelare in primo grado”.
Parti ricorrenti avevano lamentato, infatti, di non essersi potute immatricolare presso l’Ateneo di Palermo né presso altri Atenei, nonostante avessero un punteggio valido ai fini dell’immatricolazione. Ciò in quanto l’ammissione ai corsi per il t.f.a. sostegno era avvenuta sulla base di diverse graduatorie formate da ogni singolo Ateneo e per tali ragioni i ricorrenti avevano rilevato che non solo presso altri atenei erano stati immatricolati soggetti con punteggi inferiori, ma anche che presso altri atenei non erano stati coperti tutti quanti i posti messi a disposizione dal Ministero ai sensi della Tabella A allegata al DM 141/2017 poi rettificata dal DM 226/2017.

In buona sostanza i ricorrenti impugnavano la graduatoria definitiva pubblicata dall’Università di Palermo e i Decreti Ministeriali presupposti nella parte in cui non prevedevano un’unica graduatoria su tutto il territorio nazionale, per violazione del generale principio meritocratico che sta alla base di tutte le selezioni per pubblico concorso e, quindi per violazione dell’art. 97 cost. sul buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione; dell’art. 33 Cost., dell’art. 34 Cost.; del principio di uguaglianza sostanziale ex art. 3 Cost..

Ad avviso dei ricorrenti, impedire ad un aspirante docente di accedere a tale percorso formativo soltanto perché aveva partecipato alle selezioni in una Università piuttosto che in un’altra appariva palesemente discriminatorio e non conforme alla Costituzione ed alla CEDU. 
La Corte Costituzionale sul punto precisa che: “Il diritto allo studio comporta non solo il diritto di tutti di accedere gratuitamente alla istruzione inferiore, ma altresì quello – in un sistema in cui “la scuola è aperta a tutti” (art. 34, primo comma, della Costituzione) – di accedere, in base alle proprie capacità e ai propri meriti, ai “gradi più alti degli studi” (art. 34, terzo comma): espressione, quest’ultima, in cui deve ritenersi incluso ogni livello e ogni ambito di formazione previsti dall’ordinamento. Il legislatore, se può regolare l’accesso agli studi, anche orientandolo e variamente incentivandolo o limitandolo in relazione a requisiti di capacità e di merito, sempre in condizioni di eguaglianza, e anche in vista di obiettivi di utilità sociale, non può, invece, puramente e semplicemente impedire tale accesso sulla base di situazioni degli aspiranti che – come il possesso di precedenti titoli di studio o professionali – non siano in alcun modo riconducibili a requisiti negativi di capacità o di merito. A tale diritto si ricollega altresì quello di aspirare a svolgere, sulla base del possesso di requisiti di idoneità, qualsiasi lavoro o professione, in un sistema che non solo assicuri la “tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni” (art. 35, primo comma, della Costituzione), ma consenta a tutti i cittadini di svolgere, appunto “secondo le proprie possibilità e la propria scelta”, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società (art. 4, secondo comma, della Costituzione): ciò che a sua volta comporta, quando l’accesso alla professione sia condizionato al superamento di un curriculum formativo, il diritto di accedere a quest’ultimo in condizioni di eguaglianza. Il diritto di studiare, nelle strutture a ciò deputate, al fine di acquisire o di arricchire competenze anche in funzione di una mobilità sociale e professionale, è d’altra parte strumento essenziale perché sia assicurata a ciascuno, in una società aperta, la possibilità di sviluppare la propria personalità, secondo i principi espressi negli artt. 2, 3 e 4 della Costituzione” (C. Cost., 29 maggio 2002, n. 219).

Pertanto il comportamento del MIUR è stato censurato, non tenendo conto che, così facendo, si sarebbe verificato ciò che la Corte Costituzionale nega essere conforme a Costituzione giacché “quando l’accesso alla professione sia condizionato al superamento di un curriculum formativo”, deve consentirsi “il diritto di accedere a quest’ultimo in condizioni di eguaglianza”.
Autore: Marco Lo Giudice 21 nov, 2022
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha comunicato la decisione nel caso Corrias c. Italia (Ricorso n. 49393/20) con la quale ha ritenuto violato l’art. 6 § 1 CEDU in relazione alla mancanza di pubblicità del procedimento di riparazione dell’ingiusta detenzione. La Corte ha radiato dal ruolo il ricorso, patrocinato dall’Avv. Marco Lo Giudice, dopo aver preso atto della dichiarazione unilaterale del Governo italiano che aveva riconosciuto la violazione. Al ricorrente è stata riconosciuta la somma, a titolo di equa soddisfazione, pari a 600 euro. La decisione ribadisce quanto affermato sin dal 2012 con la sentenza Lorenzetti c. Italia circa l’obbligo di riconoscere il diritto di sollecitare lo svolgimento pubblico dell’udienza nel giudizio di riparazione per l’ingiusta detenzione. («La Cour a établi dans un certain nombre d’affaires dirigées contre l’Italie la nature et l’étendue de l’obligation, pour l’État défendeur, de reconnaître aux justiciables le droit de se voir offrir la possibilité de solliciter une audience publique dans le cadre des procédures en réparation à la suite d’une détention préventive injuste (Lorenzetti c. Italie, no 32075/09, §§ 34-35, 10 avril 2012) ainsi que dans le cadre des procédures visant l’application des mesures de prévention patrimoniales (Bocellari et Rizza c. Italie, no 399/02, §§ 34-41, 13 novembre 2007, Perre et autres c. Italie, no 1905/05, §§ 23-26, 8 juillet 2008, Bongiorno et autres c. Italie, no 4514/07, §§ 27-30, 5 janvier 2010, Leone c. Italie, no 30506/07, §§ 26-29, 2 février 2010, et Capitani et Campanella c. Italie, no 24920/07, §§ 26-29, 17 mai 2011). Lorsque la Cour a conclu à la violation de l’article 6 § 1 de la Convention, elle a considéré que les constats de violation constituaient une satisfaction équitable suffisante pour le préjudice moral subi par les requérants (Lorenzetti c. Italie, précité, § 52, Frascati c. Italie (déc.), no 5382/08, § 20, 13 mai 2014, et Cacucci et Sabatelli c. Italie (déc.), no 29797»).
Autore: Marco Lo Giudice 24 ott, 2022
La Corte europea preannuncia una decisione contro l'Italia
Soppressione del Corpo forestale dello Stato: accolto il reclamo collettivo
Autore: Marco Lo Giudice 13 feb, 2020
Il Comitato Europeo dei Diritti Sociali, con una decisione del 3 luglio 2019, resa pubblica a novembre, accogliendo il reclamo collettivo presentato dagli avvocati Egidio Lizza e Marco Lo Giudice, ha giudicato che l'assorbimento del Corpo Forestale dello Stato (CFS) nell'Arma dei Carabinieri ha violato i diritti sociali dei dipendenti che, divenendo personale militare, hanno perso le libertà sindacali prima garantite.
Show More
Autore: Marco Lo Giudice 21 nov, 2022
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha comunicato la decisione nel caso Corrias c. Italia (Ricorso n. 49393/20) con la quale ha ritenuto violato l’art. 6 § 1 CEDU in relazione alla mancanza di pubblicità del procedimento di riparazione dell’ingiusta detenzione. La Corte ha radiato dal ruolo il ricorso, patrocinato dall’Avv. Marco Lo Giudice, dopo aver preso atto della dichiarazione unilaterale del Governo italiano che aveva riconosciuto la violazione. Al ricorrente è stata riconosciuta la somma, a titolo di equa soddisfazione, pari a 600 euro. La decisione ribadisce quanto affermato sin dal 2012 con la sentenza Lorenzetti c. Italia circa l’obbligo di riconoscere il diritto di sollecitare lo svolgimento pubblico dell’udienza nel giudizio di riparazione per l’ingiusta detenzione. («La Cour a établi dans un certain nombre d’affaires dirigées contre l’Italie la nature et l’étendue de l’obligation, pour l’État défendeur, de reconnaître aux justiciables le droit de se voir offrir la possibilité de solliciter une audience publique dans le cadre des procédures en réparation à la suite d’une détention préventive injuste (Lorenzetti c. Italie, no 32075/09, §§ 34-35, 10 avril 2012) ainsi que dans le cadre des procédures visant l’application des mesures de prévention patrimoniales (Bocellari et Rizza c. Italie, no 399/02, §§ 34-41, 13 novembre 2007, Perre et autres c. Italie, no 1905/05, §§ 23-26, 8 juillet 2008, Bongiorno et autres c. Italie, no 4514/07, §§ 27-30, 5 janvier 2010, Leone c. Italie, no 30506/07, §§ 26-29, 2 février 2010, et Capitani et Campanella c. Italie, no 24920/07, §§ 26-29, 17 mai 2011). Lorsque la Cour a conclu à la violation de l’article 6 § 1 de la Convention, elle a considéré que les constats de violation constituaient une satisfaction équitable suffisante pour le préjudice moral subi par les requérants (Lorenzetti c. Italie, précité, § 52, Frascati c. Italie (déc.), no 5382/08, § 20, 13 mai 2014, et Cacucci et Sabatelli c. Italie (déc.), no 29797»).
Autore: Marco Lo Giudice 24 ott, 2022
La Corte europea preannuncia una decisione contro l'Italia
Soppressione del Corpo forestale dello Stato: accolto il reclamo collettivo
Autore: Marco Lo Giudice 13 feb, 2020
Il Comitato Europeo dei Diritti Sociali, con una decisione del 3 luglio 2019, resa pubblica a novembre, accogliendo il reclamo collettivo presentato dagli avvocati Egidio Lizza e Marco Lo Giudice, ha giudicato che l'assorbimento del Corpo Forestale dello Stato (CFS) nell'Arma dei Carabinieri ha violato i diritti sociali dei dipendenti che, divenendo personale militare, hanno perso le libertà sindacali prima garantite.
Co.co.co. in funzione di assistenti amministrativi: ancora sulla natura subordinata del rapporto
Autore: Marco Lo Giudice 13 feb, 2020
Il Tribunale di Benevento, nella persona del Giudice dott.ssa Marina Campidoglio, con la recente sentenza n. 43/2020, pubblicata il 23/1/2020, ha accertato la sussistenza della natura subordinata del rapporto di lavoro prestato dalla parte ricorrente con ripetuti contratti di collaborazione coordinata e continuativa decorrenti dal 1 luglio 2001 al 31 agosto 2018. Il lavoratore, assistito dagli avvocati Marco Lo Giudice e Luigi Serino, proveniva dal bacino dei lavoratori socialmente utili utilizzati nelle scuole statali a cui erano stati affidati, ai sensi del d.lgs. n. 81/2000 e del successivo D.M. 66/2001, incarichi di collaborazione coordinata e continuativa a decorrere dal 1 luglio 2001. Secondo l’intenzione del legislatore l’affidamento di incarichi di co.co.co. avrebbe dovuto favorire il transito di tali “collaboratori” dal bacino dei lavoratori socialmente utili alla stabilizzazione nei ruoli del Ministero dell’Istruzione. Al contrario, tali soggetti hanno prestato sin dal 1 luglio 2001 la loro prestazione lavorativa con contratti di co.co.co. che hanno mascherato la sussistenza di un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato, conclusosi soltanto il 31/08/2018, ovvero dopo aver preso parte alla procedura selettiva per titoli e colloquio, indetta ai sensi dell’art. 1 commi 619-621 della legge 27 dicembre 2017 n. 205, che ha consentito la loro immissione in ruolo con contratto part-time. Il Tribunale di Benevento, come del resto anche rilevato ormai dai Tribunali (Palermo, Rieti, Lanusei, Locri etc.) e dalle Corti d’appello (Palermo e Catania) ha ribadito che una volta che tali rapporti di matrice assistenziale, quali quelli degli lsu, siano stati canalizzati all’interno di un modello di natura privatistica a carattere autonomo (cd. co.co.co.) essi debbano essere assoggettati alla disciplina che è loro propria, ivi inclusi i risvolti collegati alla degenerazione e/o distorsione sul piano applicativo rispetto alla causa tipica concordata. La Cassazione, sul punto, ricorda come, in ragione della disciplina vigente, la Pubblica Amministrazione può ricorrere a rapporti di collaborazione solo per prestazioni di elevata professionalità, contraddistinte da una elevata autonomia nel loro svolgimento, tali da caratterizzarle come prestazioni di lavoro autonomo, e nell'ipotesi in cui l'amministrazione non sia in grado di far fronte ad una particolare e temporanea esigenza con le risorse professionali presenti in quel momento al suo interno. Quando la Pubblica Amministrazione si avvale, invece, di prestazioni lavorative mediante sottoscrizioni di contratti di collaborazione coordinata e continuata al di fuori dei presupposti previsti dalla legge ed inserendo il lavoratore stesso nella struttura organizzativa dell’amministrazione, trova applicazione l'art. 2126 c.c.. Nel caso concreto il Tribunale, esaminando il materiale svolgimento della prestazione lavorativa nonché la documentazione allegata al ricorso, ha rilevato che il rapporto oggetto di giudizio, sotto l’apparente forma della collaborazione coordinata e continuativa, si sia svolto secondo le modalità proprie della subordinazione, essendo evidenti tutti gli elementi tipici del rapporto di tipo subordinato: vale a dire la collaborazione del lavoratore ai fini istituzionali dell’ente, la continuità delle prestazioni lavorative, la predeterminazione della retribuzione, la subordinazione gerarchica. La lavoratrice era infatti sottoposta alle direttive del Dirigente Scolastico e del DSGA, al controllo delle presenze, al recupero delle assenze, a controlli in caso di malattia. In altri termini non era in grado di determinare in maniera autonoma la propria prestazione lavorativa. Particolarmente significativa si rileva la pronuncia laddove afferma che nella specie non trova applicazione la decadenza prevista dal cd. Collegato lavoro (l . n. 183/2010) in parte ricorrente non ha impugnato il recesso ma si è limitata a sostenere l'illegittimità del contratto, con richiesta condanna al pagamento delle differenze retributive stante la natura subordinata del rapporto. Pertanto non ha agito per ottenere la dichiarazione di illegittimità del termine apposto ai contratti bensì per ottenere la condanna del datore al pagamento delle differenze retributive, azione non soggetta ad alcun termine di decadenza. Alla parte ricorrente sono state dunque riconosciute le differenze retributive maturate tra quanto corrisposto e quanto invece avrebbe avuto diritto ove fosse stato inquadrato nel profilo di assistente amministrativo, con gli incrementi retributivi connessi all’anzianità di servizio maturata in relazione al CCNL tempo per tempo vigente in virtù di quanto affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 22558/16 ai sensi della quale la clausola 4 dell’Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla direttiva 99/70/CE, di diretta applicazione, impone di riconoscere l’anzianità di servizio maturata al personale del comparto scuola assunto con contratti a termine, ai fini della attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato dai CCNL succedutisi nel tempo. Tale principio è sicuramente mutuabile anche alla fattispecie in esame, in ragione del fatto che la mancata attribuzione delle progressioni economiche configura pregiudizio immediato e diretto dell’illegittima applicazione dei contratti di co.co.co.. In conclusione il Tribunale di Benevento ha riconosciuto anche il diritto del lavoratore al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 36 del Testo unico sul pubblico impiego nella misura pari a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto in ragione degli esiti pregiudizievoli della “precarizzazione” del rapporto oggetto di causa protrattosi per quasi venti anni, in applicazione del principio di diritto sancito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 5072/2016.
Show More
Share by: