Autore: Marco Lo Giudice
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13 feb, 2020
Il Tribunale di Benevento, nella persona del Giudice dott.ssa Marina Campidoglio, con la recente sentenza n. 43/2020, pubblicata il 23/1/2020, ha accertato la sussistenza della natura subordinata del rapporto di lavoro prestato dalla parte ricorrente con ripetuti contratti di collaborazione coordinata e continuativa decorrenti dal 1 luglio 2001 al 31 agosto 2018. Il lavoratore, assistito dagli avvocati Marco Lo Giudice e Luigi Serino, proveniva dal bacino dei lavoratori socialmente utili utilizzati nelle scuole statali a cui erano stati affidati, ai sensi del d.lgs. n. 81/2000 e del successivo D.M. 66/2001, incarichi di collaborazione coordinata e continuativa a decorrere dal 1 luglio 2001. Secondo l’intenzione del legislatore l’affidamento di incarichi di co.co.co. avrebbe dovuto favorire il transito di tali “collaboratori” dal bacino dei lavoratori socialmente utili alla stabilizzazione nei ruoli del Ministero dell’Istruzione. Al contrario, tali soggetti hanno prestato sin dal 1 luglio 2001 la loro prestazione lavorativa con contratti di co.co.co. che hanno mascherato la sussistenza di un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato, conclusosi soltanto il 31/08/2018, ovvero dopo aver preso parte alla procedura selettiva per titoli e colloquio, indetta ai sensi dell’art. 1 commi 619-621 della legge 27 dicembre 2017 n. 205, che ha consentito la loro immissione in ruolo con contratto part-time. Il Tribunale di Benevento, come del resto anche rilevato ormai dai Tribunali (Palermo, Rieti, Lanusei, Locri etc.) e dalle Corti d’appello (Palermo e Catania) ha ribadito che una volta che tali rapporti di matrice assistenziale, quali quelli degli lsu, siano stati canalizzati all’interno di un modello di natura privatistica a carattere autonomo (cd. co.co.co.) essi debbano essere assoggettati alla disciplina che è loro propria, ivi inclusi i risvolti collegati alla degenerazione e/o distorsione sul piano applicativo rispetto alla causa tipica concordata. La Cassazione, sul punto, ricorda come, in ragione della disciplina vigente, la Pubblica Amministrazione può ricorrere a rapporti di collaborazione solo per prestazioni di elevata professionalità, contraddistinte da una elevata autonomia nel loro svolgimento, tali da caratterizzarle come prestazioni di lavoro autonomo, e nell'ipotesi in cui l'amministrazione non sia in grado di far fronte ad una particolare e temporanea esigenza con le risorse professionali presenti in quel momento al suo interno. Quando la Pubblica Amministrazione si avvale, invece, di prestazioni lavorative mediante sottoscrizioni di contratti di collaborazione coordinata e continuata al di fuori dei presupposti previsti dalla legge ed inserendo il lavoratore stesso nella struttura organizzativa dell’amministrazione, trova applicazione l'art. 2126 c.c.. Nel caso concreto il Tribunale, esaminando il materiale svolgimento della prestazione lavorativa nonché la documentazione allegata al ricorso, ha rilevato che il rapporto oggetto di giudizio, sotto l’apparente forma della collaborazione coordinata e continuativa, si sia svolto secondo le modalità proprie della subordinazione, essendo evidenti tutti gli elementi tipici del rapporto di tipo subordinato: vale a dire la collaborazione del lavoratore ai fini istituzionali dell’ente, la continuità delle prestazioni lavorative, la predeterminazione della retribuzione, la subordinazione gerarchica. La lavoratrice era infatti sottoposta alle direttive del Dirigente Scolastico e del DSGA, al controllo delle presenze, al recupero delle assenze, a controlli in caso di malattia. In altri termini non era in grado di determinare in maniera autonoma la propria prestazione lavorativa. Particolarmente significativa si rileva la pronuncia laddove afferma che nella specie non trova applicazione la decadenza prevista dal cd. Collegato lavoro (l . n. 183/2010) in parte ricorrente non ha impugnato il recesso ma si è limitata a sostenere l'illegittimità del contratto, con richiesta condanna al pagamento delle differenze retributive stante la natura subordinata del rapporto. Pertanto non ha agito per ottenere la dichiarazione di illegittimità del termine apposto ai contratti bensì per ottenere la condanna del datore al pagamento delle differenze retributive, azione non soggetta ad alcun termine di decadenza. Alla parte ricorrente sono state dunque riconosciute le differenze retributive maturate tra quanto corrisposto e quanto invece avrebbe avuto diritto ove fosse stato inquadrato nel profilo di assistente amministrativo, con gli incrementi retributivi connessi all’anzianità di servizio maturata in relazione al CCNL tempo per tempo vigente in virtù di quanto affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 22558/16 ai sensi della quale la clausola 4 dell’Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla direttiva 99/70/CE, di diretta applicazione, impone di riconoscere l’anzianità di servizio maturata al personale del comparto scuola assunto con contratti a termine, ai fini della attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato dai CCNL succedutisi nel tempo. Tale principio è sicuramente mutuabile anche alla fattispecie in esame, in ragione del fatto che la mancata attribuzione delle progressioni economiche configura pregiudizio immediato e diretto dell’illegittima applicazione dei contratti di co.co.co.. In conclusione il Tribunale di Benevento ha riconosciuto anche il diritto del lavoratore al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 36 del Testo unico sul pubblico impiego nella misura pari a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto in ragione degli esiti pregiudizievoli della “precarizzazione” del rapporto oggetto di causa protrattosi per quasi venti anni, in applicazione del principio di diritto sancito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 5072/2016.